L’ultimo degli “Incontri d’estate” organizzati dalla FIdC di Parma ed da Ekocub è stato su Capriolo e Cervo. Ai precedenti, su lepre, cinghiale e lupo non ho potuto partecipare, per cui mi limito a raccontarVi cosa d’interessante ho sentito.
I relatori erano il Dott Brugnoli dell’Ass.ne Cacciatori Trentini e il Sig. Nicoloso della D.R.E.Am. Italia, conosciuto come uno dei massimi esperti in materia.
Il Dott Brugnoli non me ne voglia, ma la sua relazione, incentrata su dati statistici di popolazione, rilevamenti ecc…mi è risultata particolarmente difficile da seguire e soprattutto memorizzare…complice la mia levataccia delle 3,30.
L’intervento di Nicoloso, sarà stato perché nel frattempo mi ero ripreso dall’appisolamento, mi ha coinvolto decisamente di più e mi lasciato in dote più dubbi di quanti non ne avessi all’inizio.
Innanzitutto va detto che i dati di Nicoloso sono stati presi con animali radiocollarati, quindi inconfutabili.
1. Il censimento sul primo verde è ingannevole. Gli animali si concentrano nelle aree più favorevoli, per poi disperdersi con l’avanzare della stagione. Questo ci porta a sovrastimare le quantità di animali nella zona censita.
2. Gli incrementi stimati della popolazione sono eccessivamente ottimistici, quindi ci portano a sovrastimare la densità della zona.
3. Le presenze dei selvatici nelle zone antropizzate non significano necessariamente alta densità nelle limitrofe zone scarsamente antropizzate. Le errate conseguenze di queste valutazioni ci portano a sovrastimare la popolazione.
4. Non possiamo stimare né a priori, né sul momento in quale punto della curva della capacità portante del territorio siamo, ma solo a posteriori. Questo perché le variabili in gioco sono infinite. Ad esempio in una zona delle Foreste Casentinesi dove non è ammessa la caccia al capriolo, la popolazione di quest’ultimo è drasticamente quanto inspiegabilmente diminuita. Si è assistito ad un seguente forte incremento delle popolazioni di cervi e daini.
Spero di avere correttamente riassunto la relazione di Nicoloso che ci lascia alla fine con tanti interrogativi. Credo che il suo obiettivo l’abbia raggiunto: scardinare vecchie e controproducenti certezze, per sostituirle con un approccio più attento alle variazioni, direi più umile, ma senz’altro molto più reattivo a interagire con le dinamiche delle popolazioni di ungulati.
La morale con cui ci ha lasciato, forse, è stata la seguente:
a. prelevare con prudenza,
b. evitare di fissare piani di prelievo pluriennali, ma rivederli annualmente,
c. suddividere le zone tra vocate (con caccia di selezione aperta nei periodi canonici), scarsamente vocate (con caccia di selezione aperta in periodi più lunghi) e a densità zero (dove la caccia di selezione deve essere aperta per tutto l’anno al fine di eradicare ogni presenza).
Quanto dice è condivisibilissimo, ma…ma mi sorgono alcune domande, che purtroppo non ho potuto porgli perché ormai era tardi e si è chiuso l’incontro un po’ di corsa.
Dubbio al punto:
1. se è vero che sovrastimo la popolazione in una certa zona durante il censimento sul primo verde e lì, pur sbagliando, pongo una pressione venatoria eccessiva, di fatto danneggio solo una piccola parte della popolazione, dato che molti si allontanano prima della stagione venatoria e vanno in zone dove non erano stati censiti e quindi dove non è stato stabilito un piano di prelievo. Vero?
2. Questo dato è stato preso dagli incrementi di alcune femmine (quanti figli il primo anno, quanti figli il secondo e quanti i figli dei figli, e così via). La cosa che non abbiamo potuto discutere è stata a quali anni si riferiva l’indagine, a quali eventi pi ù o meno favorevoli quest’incremento aveva dovuto far fronte. Ad esempio, è’ vero o no che un’alimentazione abbondante dà una maggior prolificità? O che una primavera molto piovosa e fredda riduce le possibiolità di sopravvivenza dei piccoli che ancora non termoregolano bene?
3. Ma le assegnazioni per i prelievi dovrebbero essere rigidamente legate a zone ben determinate? Non è vero?
4. Questo è forse il punto più interessante. Se i caprioli sono calati a fronte di un aumento dei daini e dei cervi (spesso competitori), molto probabilmente non si tratta di un eccesso di mortalità dovuto a malattia, ma a delle modificazioni dell’ambiente che hanno reso la zona meno ideale per i primi a vantaggio dei secondi e dei terzi. Che tipo di modificazione può essere intervenuta? Sfavorevole stagione meteo, variazione delle culture, abbandono di aree agricole? Chi lo sa?
Le mie domande non vogliono in alcun modo tendere a confutare le affermazioni di Nicoloso, ci mancherebbe, anzi, prendono spunto dalle sue riflessioni. Condivido chiaramente quanto raccomanda circa la prudenza nel prelievo, anche se il rischio di un eccesso di prudenza è di avere danni all’agricoltura ed incidenti sulla viabilità, e qui paga l’ATC sempre e la Provincia qualche volta.
Il riesame periodico dei piani di prelievo presuppone maturità politica e conoscenza scientifica, con il rischio che ogni volta che i piani di prelievo debbano essere rivisti si cerchi la scusa per inquinarli politicamente.
Da tutto ciò mancano però i maggiori attori della scena e cioè gli agricoltori e le loro associazioni. Se noi cacciamo in terreni agricoli, va da sé che quest’ambiente è gestito dagli agricoltori e che le loro scelte modificano pesantemente l’habitat e conseguentemente i selvatici che la popolano. Non parlo solo di colture, ma anche di metodi di coltura e utilizzo di prodotti a supporto di tali colture come anticrittogamici, disinfestanti e/o diserbanti.
Se continuiamo a concentrarci sul binomio selvaggina/caccia senza coinvolgere, meglio sarebbe condizionare, il mondo agricolo, dubito che riusciremo a trovare un equilibrio stabile.
WEIDAMNNSHEIL
sam